Sguardo “altro” sul mondo

Museum of Everything ed io che ritorno (?)

Non vi ho ancora mai raccontato che collaboro ad un sito internet di informazione. In realtà non vi ho ancora mai raccontato un sacco di cose. Per forza poi, restando assente più di un anno dal mio stesso blog…. :-( Niente promesse di post più serrati, resta questa un’esperienza interessante per imparare e migliorare in vista magari di altro. Ma torniamo al soggetto.

Non vi ho ancora detto che collaboro con un sito internet di informazione. La commaborazione risale al 2000, intensa i primi anni e molto più leggera da quando ho lasciato l’Italia, visto che si tratta di un sito che guarda all’attualità di Torino, ed io non ho molto da dire ultimamente. Poi quest’estate ho fatto un giro da quelle parti ed ho visitato la mostra alla Pinacoteca Agnelli, occasione di scoprire questa istituzione che da qualche anno arricchisce il panorama cittadino. Bref… l’articolo integrale lo potete leggere sul sito di Traspi.net a questo link.

Buona lettura

Al Lingotto il museo di qualunque cosa

Ancora qualche giorno per visitare il curioso bric-à-brac sdoganato alla Pinacoteca Agnelli. Aperta al pubblico… aperto di spirito

Il disegno che accoglie i visitatori e dà il tono della mostra

Il disegno che accoglie i visitatori e dà il tono della mostra

I giorni prima di una mostra, nella echeggianti ed eleganti sale dei grandi musei, è tutto un formicolare di operai e cassoni. La logistica, quella di un deposito di periferia, di un mercato generale ortofrutticolo, o semplicemente del vostro più recente trasloco, è tutta lì. Certo, tra un operaio e l’altro, vedrete aggirarsi curiosi personaggi in cravatta a braccia incrociate dietro la schiena, i vari direttori e commissari di esposizione; ma per il resto, il folclore di un barnum in arrivo o in partenza sarà presente in toto: vociare, grida, avvertimenti, pesi da sollevare, sudore di fronte e olio di gomito, attrezzi appoggiati a terra in disordine causale, casse di legno rinforzate, polistirolo espanso abbandonato, polvere…. Poi, come per in canto, la mostra apre, e tutte le opere d’arte si ritrovano al loro posto, ordinate e pie, oggetti inarrivabili che solo per loro cortesia accettano di trovarsi poggiate su immacolati muri chiari e sgombri.

Non così è per la mostra visibile alla Pinacoteca Agnelli, aperta al pubblico fino al 29 agosto. Qui è l’accumulazione, il rigurgitare di oggetti, la poliedria ed il disordine che la fanno da padroni. Gli operai sembrano aver dimenticato i cassoni d’imballaggio con cui le opere sono arrivate, altri sembra abbiamo sbagliato la collocazione dove allestire una piccola cappella lignea del profondo Minnesota e l’abbiamo calata al piano basso del luogo espositivo. Le scritte ed i fogli di carta sono appiccicati un po’ ovunque; il percorso di visita che sembra a tratti ben indicato, ci fa perdere, tanto che le sale sembrano molte di più di quelle che in realtà sono (già di per sé numerose).

L’effetto scenico è ovviamente voluto, e poteva essere applicato a ben pochi tipi di esposizioni, certamente a questa. Lasciati da parte gli autori inarrivabili dell’ultimo secolo, da Picasso a Warhol e Haring, quelli che ormai si sono saputi affermare ed ospitare dai musei di mezzo mondo, come Christo, Kounellis, Bourgeoise o LeWitt, la mostra è incentrata su artisti ben minori e chela ribalta l’hanno appena sfiorata, spesso sconosciuti ad una buona parte degli stessi collezionisti d’arte contemporanea.

Arte…. in questa mostra siamo veramente al confine tra l’arte, il gusto soggettivo e “altro”…. Diversi dei più grandi autori d’arte hanno incontrato la malattia, a volte psichica, nel corso della loro vita. Era questa in alcuni casi a scatenare la loro inventiva artistica, e a farne dei visionari. Ognuno affetto dalla sua patologia: Munch schizoide, Goya affetto da encefalopatia; l’autodistruzione affligge Pollock, la depressione logora De Chirico e pure l’inarrivabile Michelangelo; senza parlare di Van Gogh, celeberrimo caso di artista malato, probabilmente epilettico. Al “Museum of Everything” ci troviamo davanti all’espressione artistica di persone che non erano per nulla destinate al mondo dell’arte, ma tutte estremamente creative a loro modo. Avvicinandosi ai foglietti che riportano le biografie, sospesi nell’atrio centrale della mostra, di fianco al bell’ascensore in vetro che permette di solcare i vari livelli, si capisce molto del legame che esiste tra malattia ed arte, quanto sia confuso il limite tra genio e follia, e quanto ormai sia cangiante il significato del “bello”.

The Museum of Everything non è solo questo, ma colpisce vedere opere definite “d’arte” realizzate da autisti, sordi, cechi, internati psichiatrici e quant’altro. E quando si tratta di “persone normalmente abili”, per parafrasare la definizione che va tanto di moda, ci troviamo davanti a cuochi (Hiroyuki Doi), pastori protestanti (Benjamin Franklin Perkins, Willima Blayney), custodi (Henry Darger), dipendenti pubblici (Nek Chand), contadini (Ilija Basicevic Bosilj)….. pochi sono i laureati delle belle arti, nessuno vive esclusivamente delle sue opere. Eppure questi self-taught men, cresciuti fuori dall’arte più che nella Outersider Art, sono molto vicini alla scena ufficiale, i loro lavori poco hanno di diverso da quelli dei maestri. Tanto che alcuni importanti artisti delle sette arti hanno scritto alcune righe per introdurre le opere della mostra, e presentare così al visitatore gli autori presenti, sconosciuti a noi ma che hanno ispirato loro (Nick Cave, Maurizio Cattelan, Peter Blake, John Baldessari, David Byrne). [...]

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